Vincenzo Petrucci
Indietro

Treno

Tutti gli indizi ti fanno pensare che anche oggi sarà una giornata del cazzo. Già la voglia di alzarti dal letto non è pervenuta, figuriamoci quella di affrontare un’altra giornata, con tutte le sue contraddizioni e i suoi scazzi. Ma il dado è tratto, il tuo piede destro è a terra e il freddo del pavimento ti ha già risvegliato mezzo corpo; tanto vale sforzare un po’ gli addominali e tentare una posizione eretta, seppur precaria per via del sonno residuo. Anche perché, diciamocela tutta, hai anche fame. Una fame da lupi. E devi pisciare. Tanto.

Ricordi perfettamente che le previsioni davano coperto, ma a guardare fuori dalla finestra ti vien da pensare di avere la cataratta per quanta pioggia sta cadendo: non si vede neanche il cancello di casa. Riaccosti la tenda e ti alzi dal bagno. Vescica sistemata, ora tocca allo stomaco. Come ogni mattina la colazione è un salto a ostacoli, il tempo è poco e non puoi permetterti di tardare. I tuoi movimenti sono ritmici, sincopati, precisi. Ti finisci di sistemare nei pochi minuti che ti rimangono e poi giù per le scale, zaino in spalla e ombrello pronto nella mano sinistra.

Apri la porta con cautela e ti tuffi in strada. Il tuo ombrello fa quel che può per evitarti la seconda doccia della giornata, ma per quanto tu possa essere minuta i suoi sforzi sono vanificati da una pioggia che sembra essere miracolosa per quanto si muove in orizzontale; maledetto vento. Cerchi di ripararti il più possibile accostandoti ai muri dei palazzi e passando sotto i balconi. Grazie al cielo – si può ringraziare proprio il cielo? L’entità che ti sta riversando addosso litri e litri d’acqua? – la strada per la stazione è breve. All’arrivo pensi con un sorriso che non è andata poi tanto male. Vuoi vedere che alla fine non sarà proprio una giornata del cazzo? No, sei troppo pessimista per crederlo e troppo abitudinaria per cambiare.

Il treno arriva in orario. Evento già raro di suo, ma che in una giornata come quella di oggi acquista ulteriore prestigio. Nel salire non vedi l’ora di sentirti ritemprata dal calore della climatizzazione interna. Ti sposti verso la vettura di testa e ti siedi vicino a un finestrino, in questo modo potrai godere meglio della vista ma, soprattutto, dell’aria calda che esce dalle bocchette. Il treno è praticamente deserto, come ogni giorno da mesi a questa parte. Ci sono solo pochi pendolari, sempre con le stesse facce stanche, e nessun viaggiatore casuale. Comunque, sembrano preferire tutti la coda del treno, visto che dalle tue parti non si vede mai nessuno. È ora di aprire il libro. Prendi la tua copia di “Orgoglio e pregiudizio”, la metti sulle gambe, usi il segnalibro per aprire alla pagina giusta e inizi a leggere.

La cosa più fastidiosa di questa tratta sono le continue fermate. Ce n’è una praticamente ogni tre minuti. In questo periodo è decisamente meno scocciante, dato il numero esiguo di viaggiatori, ma comunque ad ogni apertura di porte entra una fastidiosa aria gelida che ti fa venire un brivido dietro il collo. Non c’è scampo. Negli ultimi anni hai provato qualsiasi posto: non ce n’è uno senza difetti. Dove non arriva aria c’è un’insopportabile puzza di fogna, o i sedili sono posti longitudinalmente alla carrozza – da far star male anche chi non soffre di cinetosi. Fatto sta che ogni tre minuti o giù di lì il treno si ferma e con lui anche la tua concentrazione. Metti l’indice della mano destra nel libro, lo chiudi e aspetti che il treno riparta. Sono passati poco più di dieci minuti di viaggio quando all’ennesima fermata sale anche una vispa signora anziana, oltre al vento gelido. Si siede nei posti al di là del corridoio, di fronte a te, e continua a fare quello che stava facendo quando è salita: parlare ad alta voce al telefono.

«No Santina, ti ho già detto che pesci è un casino, meglio sagittario […] no, no, che c’entra, è biondo lui? […] ma chi te l’ha raccontata sta cazzata? […] Rosetta? Rosetta chi? La figlia di Giustino? Ma quella è cretina, lassl perde […] scine, a me devi ascoltare […] va bene va bene passo io da te domani, statti tranquilla […] sì cia cia, stammi bene»

Il tuo dito è ancora tra le pagine di “Orgoglio e pregiudizio”, gli occhi fissi sul sedile di fronte, vuoto, le cui pieghe sembrano un sorriso. Il tuo sguardo è assente, ma il tuo udito si è concentrato su ciò che ti circonda, non sei riuscita a non ascoltare la conversazione dell’anziana, con il suo strano dialetto e quei discorsi sconclusionati. Forse ha percepito la tua attenzione nei suoi confronti, forse è sfrontata: di punto in bianco ti rivolge la parola. «Di dove sei bella signorì?» Batti le palpebre, due volte, per tornare in te e ritrovare il fuoco nel mondo che ti circonda. «Come scusi?» «Niend. Ti chiedevo di dove sei. Non importa. Vai al lavoro?» «Sì, mi scusi. Ero distratta. Sì sì, vado a lavoro» Per pochi secondi ti guarda, non muove le pupille, è una di quelle persone che riescono a guardarti fisso in un occhio. Quasi ti mette a disagio. Abbassi lo sguardo. Non ce la fai, non è da te fissare le persone. Ti rendi conto che sulle sue gambe è appoggiato un libro. “Predizioni e occulto, dai tarocchi all’astrologia”. Decidi di giocarti la carta della lettura, indicando il libro le chiedi se è appassionata di astrologia. «Ah cara mia. Diciamo. Veramente questo libro l’ho scritto io, ma da quando l’ho scritto non smetto di leggerlo. Ogni volta che arrivo alla fine ricomincio. Ci trovo sempre cose nuove». “Che cazzo di assurdità”, pensi, «Davvero? Ma è interessantissimo!», dici. «Dimmi, di che segno sei? Vediamo cosa posso raccontarti di te» «Sagittario», le rispondi senza esitare. Ti guarda ancora, per qualche secondo, poi abbassa lo sguardo, apre il libro e legge qualche passaggio tra sé e sé. Alza la testa, ragiona un po’, cambia pagina e legge qualche altro passaggio. «Quindi sei sagittario, stai andando al lavoro e hai un maglione verde» «Sì…» rispondi, soffermandoti forse un po’ troppo sulla i, ma di certo non ti aspettavi qualcosa di così ovvio. Due informazioni gliel’hai date tu e che il maglione fosse verde l’avrebbe indovinato chiunque – escludendo ciechi e daltonici. «Bene bene» continua «allora posso dirti una cosa. Tu vorresti parlare con una persona, vorresti ti dicesse delle cose. Una persona persa nel passato». «Oddio sì, in realtà vorrei parlare con più di una persona del mio passato» le rispondi. Ma ti rendi conto di non essere stata convincente. Forse è vero, forse ha ragione. Forse c’è solo una persona nel tuo passato che vorresti risentire. Non sembra neanche ascoltarti, prosegue «Una cosa è certa, hai solo un’occasione. Se scendi alla prossima fermata lasciando qui i tuoi beni materiali, borsa e cappotto, parlerai con questa persona». La prossima fermata… Dai finestrini si intravedono già i primi cartelli blu con il bordo bianco. La prossima fermata è veramente prossima, il treno sta già rallentando. «Ma io… non posso. Come faccio? Ho tutto in borsa, le chiavi di casa, il portafoglio. In più sto andando al lavoro». Ma che ti è venuto in mente? Stai prendendo davvero in considerazione la cosa? «Per andare avanti nella vita, delle volte, bisogna lasciare qualcosa indietro». È tutto quello che ti dice, abbassa gli occhi e sembra tuffarsi nella lettura.

Passano i secondi, a te sembrano ore. C’è qualcosa in te che ti spinge a fidarti di lei, a non porre domande, a fare un tuffo carpiato con doppio avvitamento in questa follia. Qualche sobbalzo, uno scambio, il treno si sposta con prepotenza sulla destra. “Vaffanculo”, imprechi tra te e te, contro qualcosa di invisibile, forse contro te stessa. Ti alzi di scatto; la signora non accenna a muoversi, gli occhi ancora fissi sul suo libro. Nel girarti guardi la tua borsa e il tuo cappotto: la tua vita. Inspiri quanta più aria puoi nei polmoni e corri verso le porte. Quando sei davanti all’uscita fai fatica a respirare: c’è un tanfo insopportabile. Le poche persone sul marciapiede ti scorrono davanti come immagini del passato, sempre più lente.

Il treno è fermo. La porta scatta e scorre, l’aria fresca ti riempie i polmoni: è quasi allucinogena per quanto è fresca, in un istante scansa il tanfo che si era accumulato nei tuoi bronchi. Allunghi il piede destro e in modo del tutto aleatorio ti viene da pensare se ti è mai capitato di muovere prima il piede sinistro. È un pensiero importante in questo momento? Decisamente no. Decidi di respirare con più calma, senti il cuore battere sempre più forte per stare dietro all’affanno. La suola della tua scarpa si appoggia sul marciapiede, prima il tacco, poi la punta. A destra intravedi due persone salire sul treno, sembrano una bella coppia, mano nella mano non smettono di sorridersi. Dall’altro lato c’è il capo treno, con la mano sinistra porta il fischietto alla bocca, con la destra avvicina una chiave alla serratura di blocco delle porte.

Sei ancora in bilico tra dentro e fuori, in un limbo. Puoi ancora scegliere. Inizi a muovere il piede sinistro. Appena si stacca completamente dal pavimento appiccicaticcio del treno senti la tua tasca destra vibrare. Il cellulare. Ti fermi e risposti indietro il tuo baricentro. Il piede sinistro è di nuovo poggiato nel treno. La vibrazione si interrompe. Inspiri. Il capo treno fischia insistentemente. Alzi di nuovo il piede sinistro, di nuovo la vibrazione. Espiri. Ancora un fischio. Tentenni. Fai leva sul piede destro e ti giri, con la mano destra afferri un sostegno all’interno della vettura e fai leva. La porta si chiude alle tue spalle. Il cellulare ha smesso di vibrare, il tanfo invade nuovamente i tuoi bronchi. Metti la mano destra in tasca e prendi il telefono. Due chiamate anonime perse. Senti di aver sudato freddo. Ti affretti per tornare al tuo posto. Vuoi parlare all’anziana, chiederle spiegazioni. Quando arrivi tutti i posti sono vuoti, ci sono solo la tua borsa e il tuo cappotto nella cappelliera. Il vento sfoglia le pagine del libro che hai lasciato sul tuo sedile, ma avvicinandoti ti rendi conto che il titolo è “Predizioni e occulto, dai tarocchi all’astrologia”. Prendi il libro in mano, nella quarta di copertina c’è la tua foto e la tua biografia.

© 2024 Vincenzo Petrucci